Rami Malek aveva dieci anni quando Freddie Mercury morì di Aids nel 1991: non è cresciuto con i Queen, ma il destino lo ha portato a scontrarsi con la leggendaria figura dell’artista di Zanzibar. “Quando mi hanno scritturato ho pensato: questo potrebbe essere il ruolo che definirà la mia carriera. Due minuti dopo ho pensato: mio Dio, potrebbe rovinare per sempre la mia carriera” dice Malek, ora sollevato a cosa fatte. Hollywood aveva accolto con notevole scetticismo l’annuncio che Malek – lo stralunato hacker protagonista della fortunata serie Mr. Robot – sarebbe stato il protagonista dell’attesissimo, rimandatissimo biopic di Mercury e la sua band, Bohemian Rhapsody, in sala il 2 novembre.
Non perché Malek non abbia talento, ma non sembrava avere il phisyque du role e, soprattutto, non era mai stato il protagonista assoluto in un film cinematografico. Ma l’attore ha sconfitto ogni dubbio sul suo conto con una perfomance che, fin dai primi trailer, si profila travolgente, azzeccatissima e intonata. Dal modo in cui si muove al modo in cui canta e in cui mette in scena senza un pizzico di inibizione il glam rock di Mercury e ogni sua affettazione e idiosincrasia.
Bohemian Rhapsody ha avuto una produzione travagliata: per disaccordi con i componenti rimasti dei Queen, il progetto è stato tolto al regista originario, l’inglese Dexter Fletcher, rimpiazzato con Bryan Singer, licenziato a sua volta lo scorso dicembre e riaffidato nuovamente a Fletcher che ha completato le riprese e terminato l’opera. Ma il suo nome non appare nei crediti: la produzione ha annunciato che l’unico accreditato alla regia è Bryan Singer e così il film arriverà in sala il 2 novembre negli Usa e il 29 in Italia.
Il film segue l’ascesa della band londinese negli anni 70, quando Mercury si unì a Brian May e Roger Taylor (Gwilym Lee e Ben Hardy nel film), fino alla celebre perfomance a Live Aid nel 1985, sei anni prima della morte di Mercury. Non manca il racconto degli eccessi e della vita sessuale di Freddie Mercury, prima con la fidanzata Mary Austin (Lucy Boynton), poi sempre più spesso con amanti maschi. Tipico del genere biopic hollywoodiano, Bohemian Rhapsody (che contiene le canzoni più famose dei Queen) ricostruisce il periodo con grande dovizia di dettagli, vestiti, look, oggetti in scena e Malek, che nel film finisce per somigliare a Mercury, dentoni e tutto, è bravissimo anche nelle scene dei concerti dal vivo.
Ne abbiamo parlato con Malek nel corso di un recente incontro a Beverly Hills. L’attore, 37 anni, è nato a Los Angeles da una famiglia egiziana (di religione copta). Ha debuttato in tv nel 2004 – dopo anni di studi di recitazione – nella serie Gilmore Girls. È apparso al cinema in numerosi film, tra cui Una notte al museo e The Master. Nel 2015 la popolarità (e il premio Emmy) con Mr. Robot: è uno degli attori più sui generis (con quegli strani occhi enormi e all’infuori) e ammirati del momento. I giovani americani lo adorano.
Rami, in che misura l’ha innervosita questo ruolo?
“È stato uno stress costante e un’altalena di emozioni, oscillando tra l’estasi e il terrore. Ma la paralisi mai”.
Quanti documentari e filmati ha visto di Mercury e dei Queen?
“Direi tutto quello che esiste. Anche adesso, a film concluso, continuo a guardarmi cose di Freddie Mercury: un personaggio di cui sono totalmente innamorato. Non solo come musicista ma anche per il suo spirito d’indipendenza, l’onestà e il coraggio con cui ha affrontato prima la sua omosessualità poi la malattia. Un grande”.
Qual è stata la sfida più grande: interpretare Mercury o cantare le sue canzoni?
“Senza dubbio cantare. E non so ancora cosa abbiano usato nel montaggio finale del film. Ho avuto la fortuna di conoscere molto bene Brian May e Roger Taylor, un regalo piovuto dal cielo. Mi hanno dato preziosissimi consigli. Brian ad esempio è andato a ricercare negli archivi e ha trovato alcune primissime registrazioni di Freddie di Bohemian Rhapsody, cose che nessuno aveva mai sentito prima, che poi abbiamo incorporato nel film. Ma ritrovarmi lì in scena di fronte a un vero pubblico certe volte mi ha davvero destabilizzato”.
C’è qualcosa in cui si identifica con Freddie?
“Allo stesso modo in cui milioni di fan si sono identificati. Freddie ha sdoganato molti tabù e molti comportamenti. C’è una scena in cui qualcuno chiede alla band: in cosa siete diversi dagli altri? E Freddie risponde che sono quattro fuoriposto, quattro emarginati che cantano ad altri fuoriposto ed emarginati. Mi identifico anche perché come Freddie anche io mi sento più sicuro di fronte alla macchina da presa – lui al pubblico – che nella vita reale, privata. Come Freddie e come Elliot di Mr. Robotanche io dentro sono incasinatissimo”.
I costumi sono parte integrante e fondamentale del personaggio. Indossarli ha tirato fuori la rockstar che c’è in lei?
“Indossare costumi di scena è sempre interessante e trasformativo. Non avevo mai passato tante ore in guardaroba e trucco e parrucco come in questo film. Aiuta molto un attore, specie con uno come Mercury che ostenta molto nel corso della sua carriera. Mi sono divertito a vestire i suoi più selvaggi eccessi”.
Ascoltava la musica dei Queen e il rock/pop degli anni 70 e 80 in genere, prima di imbarcarsi in questo film?
“Beh, posso dire di certo che adesso in macchina ascolto solo musica degli anni 80, è diventata un’ossessione. Grazie al film ho scoperto tutto il movimento rock inglese di quegli anni, eccezionalmente fertile e vario, dai Queen ai Simply Red, dagli Style Council ai Simple Minds, dallo ska al punk. C’è di tutto. Ne sapevo poco prima, ma le canzoni famose dei Queen certo che le conoscevo, We will rock you, Crazy little thing called love, Don’t stop me now, ovviamente Bohemian Rhapsody, un inno. We are the champions mi commuove sempre, non mi vergogno di dirlo. Ma prima del film ascoltavo più i 60 e 70, Jimi Hendrix, David Bowie e i Pink Floyd. Ma ho anche una predilezione per il musical, che ho studiato da giovane, soprattutto Liza Minnelli, R&B e soul di Aretha Franklin. Queste sono le mie coordinate musicali”.
In che misura le canzoni di Mercury fanno parte ora della sua vita?
“Non credo che esista persona che ascoltando Bohemian Rhapsody non si sia fermata a pensare quanto affettivamente quella canzone l’abbia colpita. Ci ha colpito tutti. Da ragazzino non riuscivo a spiegare perché, ma era una canzone che ascoltavo in continuazione. È una connessione a livello emotivo più che razionale o estetico. Questo per me è Mercury e i Queen. Il contesto emotivo. Senti We Will Rock You e We are the champions e guardi la gente intorno a te, non importa di che colore o razza siano, te li senti tutti vicini e uguali a te. Tutti fratelli. Uniti cantando. Freddie faceva cantare in coro tutto il mondo. Ecco la sua eccezionalità: ora lo capisco”.